Gli piacciono le cose buone, fatte bene e curate nei minimi dettagli. Ama mettersi in gioco e ha una passione innata per la meccanica, per i motori e per la buona cucina.
Lui è Lorenzo Bertamè, imprenditore milanese, titolare di un trio di attività, in zona Città Studi, piuttosto inedito, ma vincente. Ha un’officina, uno show room e una trattoria tutti legati, come ama ricordare, da un fil ruoge che unisce artigianalità, passione per il lavoro, cura dei dettagli, cibo e motori. Quest’anno, insieme a Riders, ha fatto il suo esordio in Eicma, in realtà non è proprio la sua prima volta, con Trattoria Riders. Un luogo dove personaggi di spicco del panorama motoristico mondiale, e non solo, si sono lasciati intervistare bevendo una birra e gustando ottimo cibo in pieno stile trattoria.
Chi è Lorenzo Bertamè?“Sono nato a Milano, nella zona est della città, in una famiglia tranquilla. Mio padre è stato da sempre un appassionato di motori. Faceva il collaudatore per Lancia. La passione per i motori me l’ha trasmessa lui. Ho studiato ingegneria, poi per motivi di salute di mio padre non ho portato a termine il percorso”.
Perché proprio ingegneria? “Perché mi piaceva capire e andare a fondo nelle cose. Credo però di non essere mai stato un ingegnere fatto e finito. Sono una persona razionale, ma non faccio mai previsioni matematiche”.
Torniamo ai motori.“Dalla nascita fino all’università sono sempre stato nelle officine di mio padre, fra macchine e moto. A 14 anni ho avuto il mio primo motorino, era un Garelli Vip2. Nel giro di qualche tempo l’ho smontato, gli ho cambiato sella, carburatore e colore. Dopo sono passato a una Cagiva Aletta Oro, poi a 18 anni è stato il turno della Kawasaki Gpz600. Insomma, diciamo che non mi sono risparmiato. Al posto delle vacanze estive lavoravo e ho sempre seguito i motori”.
La pallanuoto è stata l’altra grande passione. “E’ stata una parte della mia vita, sono arrivato a giocare in Serie B. Sono orgoglioso della mia carriera a livello regionale ma soprattutto milanese. In giovane età le doti fisiche non erano al massimo, nuotavo lento ed ero un po’ paffutello. La determinazione, però, mi ha permesso di scalare le gerarchie, sono diventato titolare a 18 anni e da lì è iniziata la svolta. Mi allenavo tre ore tutti i giorni. A 30 anni ho deciso di lasciare. Certo, le entrate non mancavano, ma toglieva troppo. Mi ha insegnato molto a livello di perseveranza, di impegno e soprattutto nel porsi un obiettivo. Intanto portavo avanti anche lo studio. Ho iniziato a lavorare con mio padre e nel frattempo continuavo a giocare. Sono andato in una carrozzeria come responsabile meccanico. Lì, da una parte ho iniziato ad essere indipendente dal punto di vista lavorativo, e nel contempo imparavo quello che c’era da sapere sul mondo delle carrozzerie. Un giorno mi chiesero di passare in Serie A2, con due allenamenti al giorno. A quel punto ho deciso di dire basta. Era diventato più di un lavoro. Non avevi più l’energia, era diventato troppo pesante. Non me ne sono mai pentito, ho sempre mollato le cose nel momento giusto”.
Idoli? “Tantissimi riferimenti di vario tipo ma nessun idolo. Il mio obiettivo era di interpretare la mia vita come se fossi il protagonista maschile del libro della mia vita. Non ho mai avuto il poster di qualcuno appeso in camera, mi è sempre piaciuto prendere ispirazione per costruirmi un idolo tutto mio”.
A 26 anni prendi in mano l’officina di famiglia.“All’inizio si è trattato di un’investitura ereditaria. Mio padre si ammalò, è stata una malattia lunga, di quattro anni. Quel periodo mi ha permesso di capire se era davvero la mia strada. L’ho presa in mano per dovere, la famiglia aveva bisogno. Il mio vero obiettivo non era lavorare sui motori, ero un ragazzotto di belle speranze e non avevo un’idea precisa di cosa avrei fatto da grande. Nella mia testa, però, l’officina c’è sempre stata, era una parte di me. Da necessità diventò una conseguenza. Lì conoscevo tutto, sapevo come si lavorava e come veniva gestita”.
Hai sempre visto l’attività di famiglia come un’ancora o volevi essere indipendente?“Ti dirò, fino a una certa età non ho mai avuto una forte determinazione professionale. Mi divertivo, avevo la pallanuoto, gli amici, la mia moto. Non c’era il pensiero del lavoro. Poi, per delle vicissitudini, sono arrivato in officina. Non mi sono né lamentato né ho stappato champagne. Appena entrato ho iniziato a rompere i coglioni. Bisognava evolversi: dovevamo discostarci dall’idea storica, e per certi versi obsoleta, dell’officina del casino, dello sporco e delle donne nude sulle pareti. Il mio riferimento è sempre stato il concessionario. Non sarò mai uno di loro, ma a livello di standard di ordine, pulizia e metodicità dobbiamo essere così. Volevo preservare la tradizione, l’artigianalità, la passione di lavorare sui motori. Per farlo bisognava anche studiare. Finivo la sera in piscina e andavo a fare i corsi di elettronica e sui primi iniettori diesel dall’altra parte di Milano. Ci andavo in tuta, puzzavo, ma bisognava andare avanti. Le sfide mi piacciono, mi piace raggiungere un obiettivo per poi rimettere l’asticella ancora un po’ più avanti. Diciamo che mi sono fatto il culo per cercare di capire come stavano cambiando le cose. Passare dalla camicia bianca alla tuta non è stato facile. Non mi sono mai accontentato di avere un meccanico che sapesse fare una riparazione, quella riparazione la dovevo saper fare anch’io”.
Da come ne parli non dev’essere stato semplice?“Lo scoglio più grande è stato mio padre. Si trattava di uno scontro generazionale, io volevo qualcosa in chiave più moderna ma parlavo con una persona che per allora aveva costruito tantissimo. Quando ho rilevato l’attività lui era malato, stava qui come dipendente e io ho potuto rubare molto della sua mentalità, del suo modo di lavorare. Mi diceva sempre la mia esperienza per te non vale niente, fatti la tua. Mi spingeva a buttarmi, ad informarmi, a capire. E’ un qualcosa che ho sempre cercato di trasmettere a chi lavora con me. La filosofia del lavorare deve essere il made in italy. Lavoriamo sui motori e sul cibo ma li trattiamo come un sarto tratta la sua stoffa. Il lavoro deve essere premiato dalla soddisfazione del cliente. Prima di farlo ti deve, o ti dovrebbe, anche piacere”.
Svolta personale.“A 35 anni mi sono successe tre cose che hanno completamente cambiato il mio modo di approcciare alla vita. La perdita mio padre, la nascita di un figlio e la separazione. E’ stata la mia morte e la mia rinascita. C’è stato il fallimento della separazione, il lutto di mio padre, che per me era una figura molto importante e la gioia di un figlio. Sono diventato un’altra persona. Dal ragazzo spensierato a uomo sotto tutti i punti di vista. E’ stata una seconda maturità. Sono diventato protagonista maschile della storia della mia vita. Non voglio passare inosservato a me stesso. Ho ricostruito un po’ tutto, fino ad arrivare a creare il mondo Bertamè”.
Nel 2015 arriva la carrozzeria.“All’officina abbiamo aggiunto il tassello della carrozzeria. Nel frattempo siamo diventati anche centro revisioni. Poi arriva lo show room. Nasce dal fallimento di una banca, la posizione era appetibile e fra i miei progetti c’era anche l’ipotesi della vendita. La difficoltà di costruire un punto vendite a Milano, però, mi ha fatto pensare a costruire qualcosa per il quartiere. E’ uscita una creatura anomala, che non tutti hanno capito. I primi tempi stavo fuori sul marciapiede e la gente che passava si chiedeva cosa stessi facendo. Dentro di me ero felice, sapevo che era la direzione giusta. E’ un luogo camaleontico, che si trasforma. E’ stato premiato come negozio newyorkese da Anime Nascoste. Abbiamo fatto mostre di quadri e fotografie stravolgendo l’etichetta del negozio che vende auto e moto. Siamo diventati un punto di riferimento per chi cerca visibilità. Abbiamo esordito con una mostra di quadri con Guido Buganza, c’erano 600 persone. Era il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia”.
Arriviamo alla trattoria. “In officina mi è sempre piaciuto regalare una “coccola” al cliente, trattarlo bene, consigliarlo. Questa forma di coccolare i clienti è cresciuta con lo show-room, dove offriamo prodotti, diamo visibilità e incuriosiamo chi entra. Con la trattoria facciamo capire ancora di più chi siamo. Come brand e come collocamento. Siamo gente di fatica, che non si risparmia, che lotta ogni giorno ore e ore. Per questo sono molto grato a chi lavora con me. Voglio che si mettano in gioco, che si spingano oltre. La difficoltà molte volte è trovare persone che vogliono unirsi con te per fare una “traversata”, con tante difficoltà e tante tempeste. L’equilibrio è quando c’è un interesse comune: nel mio caso quello di crescere. La trattoria è sempre stato un sogno che è diventato un’opportunità. Anche prima c’era un ristorante ma non andava bene. Inizialmente pensavo di ampliare l’officina creando un angolo dedicato alle moto, poi ho deciso di diversificare, un po’ come nel 2015 con la carrozzeria. Bisogna mettersi in gioco, anche rischiando di perdere. L’idea di aprirla nasce dalla passione per il cibo. Da piccolo facevo le gare di cene con gli amici. Un torneo dove a turno si cucinava e gli altri votavano, secondo una serie di parametri, i piatti proposti. La scelta è nata principalmente a livello imprenditoriale. Avendo le due attività, l’una a venti metri dall’altra, non avrei mai digerito che qualcuno si mettesse fisicamente in mezzo. Il prezzo era di imparare a fare ristorazione? Mi ci sono buttato e ci ho provato! E’ stata dura perché è un’industria molto complessa. Ho optato per un mood uguale a officina e show-room. Ho aperto come se fossi io il cliente. Volevo un posto easy e informale. Non mi piacciono i ristoranti impacchettati, o i cibi troppo arzigogolati. L’ambiente è spartano ma curato in ogni minimo dettaglio. Per questo devo ringraziare anche Marcello Baroli, di MBM, che si era proposto per darmi una mano ad arredare lo show-room. L’affinità e i punti di vista in comune sono sfociati in una collaborazione che ha coinvolto anche la trattoria”.
A Milano c’è di tutto e di più. Come sopravvive una trattoria?“Vai contro certi determinati tipi di cucine estere portando le loro idee all’interno dell’italianità. Siamo stati anticonformisti nel voler imporre una italianità diversa. Non devo complicarti il piatto, ma devo fare degli abbinamenti che ti diano la possibilità di provare stupore. A livello visivo e di gusto. L’innovazione e il nostro surplus è portare pane, pasta e dolci fatti in casa per far parlare della tradizionalità. Per noi è quasi una perdita, ci vogliono ore e ore di lavoro per prepararli, ma il nostro obiettivo non è la marginalità, lavoriamo per il nome. Guadagnare 95 piuttosto che 100 non importa. Il protagonista in trattoria è il cibo, tutto il resto è una cornice”.
Ti sei mai chiesto perché rilevare un ristorante che va male per farne un altro?“I dubbi li ho avuti e il prezzo era alto. Non potevo però permettermi che un’altra persona entrasse, lo facesse funzionare e poi io ci dovevo passare davanti tutte le mattine”.
Come si portano avanti tre attività?“Con la volontà di seguire da vicino tutto quello che succede. Serve determinazione e pazienza. Lo riesci a fare non lavorando con le persone che ti stanno vicino, ma collaborando. Costruiamo insieme un percorso”.
Cos’è per te oggi il mondo Bertamè?“Sto cercando di rappresentarlo con il nuovo sito che è online da poco. E’ ricerca, proporre al mondo l’esplorazione di me attraverso le passioni”.
Hai un valido braccio destro.“Con Titti la mia vita è cambiata. Ha dato un equilibrio alla mia follia di vita intensa e sregolata. Mi ha dato una dimensione più convenzionale. Tutte le energie che dedicavo alla vita le ho messe nel lavoro. La svolta su quel fronte arrivata con lei. E’ stato come chiudere un cerchio”.
Quest’anno è arrivato anche Eicma.“E’ un sogno raggiunto con passione e voglia di fare cose epiche insieme agli amici di Riders. Per essere lì abbiamo fatto non uno, ma tre passi più lunghi della gamba, abbiamo messo insieme le energie e ci siamo riusciti. Ci sono stati molti ostacoli. Con Moreno, fin da subito, c’è stato affiatamento nel creare qualcosa di interessante con un budget limitato. Per certi aspetti siamo simili. Entrambi siamo abituati a vivere in un mondo dove tutto ha un prezzo e tutto è in funzione di un prezzo. La verità, però, è che le cose migliori nascono dalle idee. La determinazione e la voglia di metterti in gioco ti pagano anche senza una grande disponibilità. Abbiamo organizzato una cosa davvero figa. La settimana di Eicma è stata impegnativa e gratificante. Il 7 novembre eravamo con Riders e Schott alle Officine Mermaid, il giorno dopo allo Store Berloni per un evento pazzesco e poi tutti i giorni della Fiera con Trattoria Riders”.
Non è però la tua prima volta ad Eicma, giusto? “No fu nel 2004 con gli scooter elettrici”. Nel 2004 vendevi scooter elettrici? “Sì, li importavo dalla Cina. Ho sempre cercato di lavorare dieci anni avanti, di anticipare i tempi, solo che nel 2004 sull’elettrico eravamo troppo indietro”.
La soddisfazione più grande.“Lavorare per il nome e non per i soldi. L’eredità del nome di mio padre che nel quartiere era un personaggio sia come persona che lavorativamente. E’ stata un’eredità pesante. Perché anche se hai 35 anni in realtà cambia poco. Sei acerbo e non hai la padronanza di una persona di 70. Il lavorare per il nome mi ha portato a non pensare alla marginalità. Lavoriamo tutti per i soldi, ma nel mio caso non sono lo scopo. Essere qui dagli anni ‘80 mi fa piacere, come del resto mi fa piacere essere un’azienda storica a Milano. Soddisfazione è iniziare a vedere i primi frutti del lavoro fatto in una piccola via”.
Il futuro? “Esplorazioni. cerco nuove sfide, la sete è ancora tanta. Magari porteremo il cibo ancora più in strada…con il food truck”.